SCHEDA DEL FILM

Cinema Italia Faenza

martedì 15 novembre

UNA DONNA SPOSATA

  • Regia: Jean-Luc Godard
  • Attori: Bernard Noël, Macha Méril, Philippe Leroy, Christophe Bourseiller, Roger Leenhardt
  • Distribuzione: Movies Inspired
  • Nazione: Francia 1964
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 98 minuti
  • Orari

    mar 15: 21.15

    Proiezione in lingua originale sottotitolata in italiano

    Lunedì+Martedì Cult Movie

    Cena+Cinema € 16,00 da Osteria del Mercato o fMarket

Trama del film

Ventiquattro ore nella vita di Charlotte, sposata con un figlioletto e che ha una relazione extraconiugale: il marito fa il pilota d’aereo, l’amante l’attore di teatro.

Trailer

Commento

Una donna sposata al posto de La donna sposata, il titolo che Jean-Luc Godard avrebbe voluto: la censura francese dell’epoca dimostrò di aver capito assai bene il senso del film se pretese questo cambiamento. E a distanza di quasi sessant’anni, nonostante di quando in quando emergano le ingiustificabili accuse di misoginia, l’ottavo lungometraggio di Godard dimostra ancora la sua acutezza nell’utilizzare il cinema e il suo linguaggio come testimone del disfacimento della cultura borghese, auto-frammentatasi sotto il peso del proprio rito. 

Ci sono molti modi per cercare di comprendere un film, o di analizzarlo, o almeno di studiarlo in modo non troppo superficiale. Il più canonico e diffuso parte ovviamente dallo studio del testo filmico, del montaggio definitivo, del prodotto nel senso più puro del termine, vale a dire il risultato terminale di un lavoro industriale: compiere tale esercizio su Una donna sposata senza allargare lo sguardo, e senza entrare nel dettaglio di come si è arrivati all’oggetto cinematografico di un’ora e mezza che è reperibile oggi nel mercato dei dvd e dei blu-ray, o visionabile in dcp o in 35mm in qualche fortunata retrospettiva, significa probabilmente non aver ben compreso il senso stesso del lavoro portato a termine da Godard. A comprenderlo bene fu invece, e non deve sembrare un paradosso, la censura francese dell’epoca. Il 29 settembre 1964 la commissione che si occupa di assegnare il nulla osta per la distribuzione in sala boccia in toto La femme mariée. Da un lato c’è ed è inevitabile la reprimenda contro le nudità – per quanto il montaggio di Godard e soprattutto il taglio delle inquadrature riducano i rischi di intervento censorio, come si avrà modo di scrivere più avanti –, ma dall’altro soprattutto si ha quell’articolo determinativo che non è proprio accettabile per la morale comune. “La” donna sposata equivale a supporre che ciò che viene raccontato nel film non sia un caso specifico, ma la condizione della donna all’interno della società borghese. Godard deve dunque accettare il compromesso e che il suo film parli solo di “Una” donna sposata, e anche così non è facile convincere la commissione, al punto che deve intervenire André Malraux in persona, e perfino Georges Pompidou. La censura ha però colto nel segno, perché ha compreso – meglio di molta critica dell’epoca, e forse anche di oggi – come a Godard interessi solo relativamente portare avanti una storia: Charlotte e le sue relazioni, quella coniugale e quella adulterina, sono solo un diversivo, o per meglio dire servono a portare avanti sotto la superficie il discorso che realmente interessa al regista. Una donna sposata è un film che cerca di analizzare la realtà collettiva, la massa, il popolo nella sua abitudine strutturale: il destino di Charlotte, che non sa di chi sia effettivamente il figlio che porta in pancia, è del tutto irrilevante, quel che conta è la quotidianità di un’esistenza condivisa, che è dopotutto uniformata da un mondo mosso da una propaganda pubblicitaria ottundente, esasperante.  Come ebbe a dire lo stesso Godard Una donna sposata è un film umanista che cerca di descrivere un mondo che ha completamente rimosso l’umanesimo dalla sua struttura portante. In tal senso appare illuminante la scelta di portare in scena nel ruolo di sé stesso Roger Leenhardt, intellettuale centrale nella nascita della Nouvelle Vague – subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale fondò a Parigi con Robert Bresson e Jean Cocteau il cineclub Objectif 49, punto d’incontro indispensabile per la formazione cinefila della gioventù cittadina – anche grazie a Les dernières vacances, film che illumina i futuri rivoluzionari del cinema francese sulla posizione morale da scegliere nell’affrontare un racconto per immagini. Quasi vent’anni dopo il loro primo incontro Godard lo chiama dunque sul set e gli affida un ruolo chiave: essere sé stesso. Leenhardt, con la propria vera posizione intellettuale non può che cercare di ricondurre la donna sposata alla realtà, quella in cui ancora esiste Auschwitz, per quanto in Germania si stia facendo di tutto per rimuoverlo dalla memoria e dall’immaginario. “Ah, sì certo, Hitler!”: impiega qualche secondo Charlotte prima di capire a cosa debba ricondurre la parola Auschwitz. A neanche venti anni dalla fine della guerra il mondo ha già dimenticato. Certo, si può andare al cinema a vedere Notte e nebbia, ma lo si fa per incontrarsi tra amanti, con la stessa accortezza che si presterebbe a una farsa in costume, a un film hollywoodiano, o forse persino a una pubblicità. D’altro canto il marito di Charlotte si propone di andare a comprare dei porri solo perché alla radio qualcuno ha spiegato come possano far bene per abbassare il livello di colesterolo nel sangue. Godard, già preconizzando alcune delle opere a venire, riesuma gli studi di etnologia alla Sorbona, e applica la scienza sociale al cinema. Non è un caso che proprio nel 1964, rispondendo alla domanda di un intervistatore, il regista sfoderi una frase destinata a divenire celebre: «Ora ho delle idee sulla realtà, mentre quando ho cominciato avevo delle idee sul cinema. Prima vedevo la realtà attraverso il cinema, e oggi vedo il cinema nella realtà». (Rafaele Meale - Quinlan)

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